il film



Asinitas
presenta

in collaborazione con
Cineteca di bologna
Fondazione lettera27
Fondazione Charlemagne

UNA SCUOLA ITALIANA

Da un’idea di Cecilia Bartoli, Marco Carsetti e Alessandro Triulzi
Regia: Giulio Cederna e Angelo Loy
Fotografia: Angelo Loy
Montaggio: Aline Hervé
Musiche: Riccardo Cimino e Thierry Valentini
trailer del film



SOGGETTO
Roma, mattina, Scuola Pisacane. In un’aula dai muri giallini come ce ne sono tante, di una scuola-caserma degli anni cinquanta uguale a tante altre, è in corso un laboratorio teatrale. Cecilia -  quarant’anni non ancora compiuti, psicologa, operatrice dell’Associazione Asinitas - racconta con voce stentorea il viaggio avventuroso di Dorothy nel magico mondo di Oz; ai suoi piedi una Dorothy sui trenta, in carne ed ossa, la faccia atteggiata da brava ragazza, i capelli annodati con un cerchietto rosso e una gonna azzurrina a campana, giace addormentata su una fila di cuscini di plastica, attorniata da un manipolo di bambine che si sforzano di emularla: una ha sollevato la palpebra per vedere che cosa succede, un’altra sussurra che lei proprio non ce la fa a dormire, un’altra ancora esplode in una risata. Davanti a loro un nutrito gruppo di marmocchi in ginocchio ascolta rapito la storia, ridacchia, commenta ad alta voce: “Guarda com’è bella Dorothy!”, “Non è Dorothy, la conosco, è un’amica di mia madre…”, “Vedi? Non sta dormendo, fa finta!”, “Perché è scalza…?” Dall’inflessione delle loro voci e dall’incarnato del volto capiamo che molti di loro, come Dorothy, hanno un viaggio da raccontare.

Ionut (che si dice ionuz), Flora, Kelvin, Isham, Rashid, Akib, Abib, Aarento, Fatima, Maryam, Tamina, Luca, Ramisha, Islam, Y Lei, Nur, Labib, Sophia, sono nati in Italia da genitori stranieri e frequentano la sezione materna della scuola Pisacane di Roma, nel cuore di Torpignattara e a due passi dal Pigneto, quartieri storici e popolari di Roma oggi popolati da un numero crescente di famiglie immigrate. Insieme a Martina, Francesco, Federico e Alessia, e altri amichetti italiani doc, ogni settimana entrano nel mondo incantato di Oz.  Hanno un’età media di cinque anni, la loro prova d’attore è solo agli inizi, ma sono già diventati famosi. Da alcuni mesi sono al centro di una vivace polemica finita sui media locali e nazionali.
Un gruppo di mamme italiane costituitesi nel comitato “madri per l’integrazione” fanno sentire la loro voce in luoghi istituzionali, sorrette da un compatto fronte politico: “Alla Pisacane va in scena una vera e propria emergenza non solo didattica, ma anche culturale… non è questione di razzismo, ma di un'integrazione impossibile e di diritti negati ai nostri figli».

La Scuola Pisacane è dunque un laboratorio sull’Italia che verrà. E’ una scuola di quartiere, dove il quartiere ha vissuto negli ultimi dieci anni un cambiamento tale da rovesciare completamente gli equilibri sociali. La voce del comitato delle madri è la rozza espressione di un malessere. I progetti di integrazione all’interno della scuola sono al contrario la risposta aperta a una situazione tipica dell’Italia del futuro.

Cecilia, le insegnanti e la coordinatrice della scuola materna, vivono con disagio la situazione di conflitto che si è venuta a creare. Non credono alle tesi delle madri arrabbiate: secondo loro i servizi inter-culturali promossi alla Pisacane sono all’avanguardia e costituiscono l’unica strada per costruire un reale processo di integrazione, i risultati incoraggianti dimostrano che la presenza di tanti bambini di origine straniera, se preparata e sostenuta, rappresenta piuttosto una ricchezza didattica e culturale, mentre il piano di “dislocare” i bambini fuori-quota nelle altre scuole è dannoso e irrealizzabile perché non tiene conto della realtà del quartiere e delle esigenze delle famiglie.

In particolare le maestre, alcune di loro storiche abitanti del quartiere, si sentono attaccate dalle argomentazioni del comitato delle madri. Fanno il loro lavoro con entusiasmo, oltre l’orario scolastico, seguendo le indicazioni delle circolari ministeriali sul senso dell’accoglienza. All’interno delle loro classi non esiste il problema dell’integrazione: il senso della protesta passa sopra le loro teste. Ma nel mondo di Oz le polemiche non entrano: Ionut, piccolo Charly Brown rumeno, è innamorato di Martina, Heidi romana dai capelli castani. “Tu lo sai che sei bella, sei bellissima, a me mi piaci”, le dice chiudendo le vocali con un marcato accento slavo.
Il laboratorio teatrale e le attività scolastiche permettono di esplorare da vicino e senza pregiudizi le dinamiche tra bambini di diversa provenienza, osservare il loro sguardo sul mondo, ascoltare i loro interventi e le loro risposte alle domande di Cecilia e delle insegnanti: dov’è casa vostra? Vi piace viaggiare? Siete mai andati lontano? A che cosa serve il cervello? E il cuore? E il coraggio?
Settimana dopo settimana le polemiche sulla scuola e le peripezie di Ionut e Martina nel mondo di Oz, si fondono in un’unica storia, creando un cortocircuito tra realtà e finzione che lascia emergere tutta una serie di interrogativi: e se il mondo di Oz fosse proprio la Pisacane? Chi sarebbe in questo caso la strega, lo spaventapasseri, l’uomo di latta e il leone? Il viaggio di Dorothy non assomiglia forse al viaggio degli immigrati a Torpignattara? Loro che dicono? Che Torpignattara sia per loro una specie di mondo di Oz, con tanto di streghe e spaventapasseri senza cervello? O piuttosto Oz è il lontano da dove vengono i genitori, il loro paese di provenienza, come sembrano credere alcune madri italiane che continuano a ripetere: “questi so’ venuti a comandare a casa nostra”? Ma in questo caso, allora, che cos’è il lontano per un bambino nato in Italia da genitori stranieri, e qual è la sua casa? E se Dorothy venisse interpretata da una bambina italo-straniera che cosa vorrebbe dire la celebre frase conclusiva della storia: “nessun posto è bello come casa mia”?

In effetti, fin dal primo giorno di laboratorio, Cecilia si interroga sul finale dello spettacolo, anche a partire dalle sollecitazioni dello scrittore Salman Rushdie. In una rilettura del film “Il Mago di Oz”, Rushdie scrive che la frase messa in bocca dagli sceneggiatori a Dorothy - “nessun posto è bello come casa mia” - è “l’assunto meno convincente del film…”  Il Mago di Oz sarebbe invece “senza dubbio un film sulla gioia di partire, di lasciare il grigiore e fare ingresso nel colore, di ricrearsi una nuova vita nel ‘luogo dove non ci sono guai’. Over the rainbow è, o dovrebbe essere, l’inno di tutti gli emigranti del mondo, una celebrazione della fuga, un inno – anzi l’inno – all’Altrove. Del resto, non è davvero possibile credere che Dorothy non abbia imparato altro, nel suo viaggio, se non che non aveva alcun bisogno di intraprenderlo”.
Cecilia, che conosce bene le parole di Rushdie e vuole adattare la favola di Oz al contesto di Torpignattara, decide di lasciare aperto il finale e cerca la conclusione della storia con l’aiuto dei bambini, delle mamme e di alcuni ragazzi, come Mohammed, undici anni, nato in Italia da genitori egiziani. “Non è vero niente di quello che dicono”, dice con una spiccata inflessione romana. “La Pisacane è la scuola migliore del quartiere, io non ho avuto mai problemi co’ i bambini italiani o co’ gli altri immigrati, anzi... Anche se i miei genitori so’ egiziani, io sono nato qui e sono italiano come gli altri. Oggi, nella scuola media che frequento, vado forte, spesso so’ meglio degli altri bambini nati da genitori italiani”.

Vengono invitate le mamme dei bambini del laboratorio, le madri italiane che hanno organizzato la protesta e coloro che la combattono, Fatima e le altre donne immigrate che frequentano il corso di lingua offerto dalla scuola, Mohammed e sua madre Mona. Viene chiesto loro un possibile finale per la storia di Oz..
In questo modo, il laboratorio teatrale diventa l’occasione per vedere attraverso lo sguardo dei bambini e la mediazione della fiaba che cosa sta realmente accadendo alla Pisacane e nel quartiere, e per cercare di riflettere sul futuro di decine di giovanissimi figli di Oz, non più stranieri e non ancora italiani, nella scuola e nella società italiana.

“Una scuola italiana” ha l’obiettivo di raccontare dall’interno di una scuola a maggioranza di figli di immigrati le dinamiche e le ragioni di una classe multietnica – relazioni, problemi, normalità, quartiere – per invitare a riflettere gli spettatori su un tema epocale assai complesso e di interesse nazionale, sulle problematiche attuali e su quelle future, un problema che non può essere risolto a colpi di slogan o con affrettate scorciatoie ideologiche.